L’applicazione di una norma di legge incostituzionale non è rilevabile d’ufficio

| avv. Elio Errichiello

Una recente sentenza del Consiglio di Stato ribadisce il principio, fermo in giurisprudenza (cfr., tra le più recenti, Cons. St., VI, 19 febbraio 2018 n. 1064; id., III, 2 maggio 2019 n. 2843; CGA, sez. giurisd., 26 settembre 2019 n. 836), secondo cui il vizio del provvedimento amministrativo, consistente nell’applicazione di una norma di legge incostituzionale, rientra nella categoria della violazione di legge ed è pertanto un ordinario vizio di legittimità (quindi, non rilevabile d’ufficio) e non un caso di nullità ex art. 21-septies della l. 241/1990 (che indica i casi tassativi di nullità del provvedimento amministrativo, non contemplando tra essi il caso del provvedimento basato su una norma incostituzionale).

Leggi il testo integrale della sentenza 1345/2020:

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

OMISSIS

contro

il Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza breve del TAR Lazio, sez. III, n. 8928/2019, resa tra le parti e concernente il DDG del MIUR del 07.11.2018, nella parte in cui, all’art. 3, co. 1 del relativo bando non menziona, tra i requisiti di accesso, il titolo di laurea in «scienze dell’educazione e della formazione», escludendo, così, i ricorrenti che, muniti del predetto titolo, hanno espletato le due annualità di servizio nelle scuole statali e paritarie quali docenti precari, nonché della domanda di risarcimento dei danni subiti in forma specifica o, in subordine, per equivalente;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 13 febbraio 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi per le parti l’avv. Franco Consoli (per delega di Chieffallo) e l’Avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

 

Ritenuto in fatto:

– l’art. 4, co. 1-ter del DL 12 luglio 2018 n. 87 (conv. modif. dalla l. 9 agosto 2018 n. 96) ha stabilito la suddivisione della copertura annuale dei posti di docente vacanti e disponibili (comuni, di potenziamento e di sostegno) nella scuola dell’infanzia e in quella primaria, di modo che il 50% sia coperto, sino al loro esaurimento, attingendo alle GAE provinciali ex art. 1, co. 605, lett. c) della l. 27 dicembre 2006 n. 296 e, qualora esse s’esauriscano per ciascuna provincia, i posti così rimasti vacanti si aggiungono a quelli disponibili per le procedure concorsuali di cui al successivo co. 1-quater;

– in base a quest’ultimo, il restante 50%, ove la relativa messa a concorso sia autorizzata ai sensi dell’art. 39, co. 3-bis della l. 27 dicembre 1997 n. 339, è coperto annualmente con lo scorrimento delle graduatorie di merito: a) in via prioritaria e fino al termine di validità di queste, dei concorsi banditi ai sensi dell’art. 1, co. 113 della l. 13 luglio 2015 n. 107, nei limiti di chi ha raggiunto il punteggio minimo stabilito dal bando, fermo il diritto all’immissione in ruolo per i vincitori del concorso stesso; b) del concorso straordinario riservato, ai sensi dei successivi commi 1-quinquies e 1-sexies e nei limiti dei posti colà indicati, a favore dei docenti in possesso del titolo d’abilitazione all’insegnamento conseguito presso i corsi di laurea in scienze della formazione primaria (o analogo titolo estero riconosciuto), oppure del diploma magistrale con valore abilitante (o analogo titolo estero riconosciuto) conseguito comunque entro l’a.s. 2001/2002, nonché dello specifico titolo di specializzazione sul sostegno conseguito ai sensi della normativa vigente, purché i docenti così titolati abbiano svolto, nel corso degli ultimi otto anni scolastici, almeno due annualità di servizio specifico, pur non continuative, su posto di sostegno presso istituzioni scolastiche statali, valutabili ai sensi dell’art. 11, co. 14 della l. 3 maggio 1999 n. 124;

– con DDG del 7 novembre 2018 (in GU, IV s. spec., n. 89 del successivo giorno 9), il MIUR ha allora indetto il concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento a tempo indeterminato del personale docente nella scuola dell’infanzia e primaria ai sensi dell’art. 4, co. 1-quater, lett. b) e co. 1-quinquies del DL 87/2018;

– il sig. Enzo Abate e consorti, tutti laureati in scienze dell’educazione e della formazione e pur in possesso del requisito di servizio svolto in scuole pubbliche e private, fanno presente di non poter partecipare a detto concorso, perché il bando non contempla il loro titolo di studio;

– essi hanno quindi impugnato l’art. 3, co. 1 del predetto bando innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 5509/2019, deducendo: 1) – l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1-quinquies del DL 87/2018, richiamato da detto art. 3, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 33, 51 e 97 Cost., in quanto il titolo di studio posseduto è equipollente a quello richiesto e la clausola del servizio prestato solo in scuole statali è già in sé previsione arbitraria ed indebitamente restrittiva della platea dei candidati, senza che ciò garantisca meglio il buon andamento della P.A.; 2) – la nullità di detto art. 3, co. 1, lett. c) per violazione o elusione di precedenti giudicati amministrativi, nel caso in esame essendo stati reintrodotti criteri già censurati da questo Giudice in altri giudizi; 3) – la nullità discriminatoria dell’art. 3, co. 1, lett. c) del bando, di cui il MIUR avrebbe dovuto fornire invece un’interpretazione costituzionalmente orientata, cioè in coerenza con l’art. 399 e ss. del D.lgs. 297/1994 (per cui l’immissione in ruolo avviene mediante concorsi pubblici per titoli ed esami, senza limitazioni di sorta riguardo all’attività lavorativa dell’aspirante) e valutando il pregresso servizio prestato solo titolo aggiuntivo e non come requisito d’accesso al concorso de quo

– l’adito TAR, con sentenza breve n. 8928 del 5 luglio 2019, ha dichiarato irricevibile il ricorso in questione, essendo stato notificato oltre il termine di decadenza, decorrente da un bando che, come quello in contestazione, recava clausole immediatamente escludenti;

– la sig. Nadia Abdellaovi Vesco e consorti, tutti diplomati magistrali entro l’a.s. 2001/2002 e laureati in scienze della formazione primaria, dichiarano di non poter partecipare al concorso medesimo (posti di sostegno), perché privi del completo requisito di servizio prescritto dalla legge e precari sul sostegno;

– essi hanno quindi impugnato l’art. 3, co. 1, lett. c) del predetto bando innanzi al TAR Lazio, col ricorso NRG 5622/2019, deducendo: 1) – l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1-sexies del DL 87/2018, richiamato da detto art. 3, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 33, 51 e 97 Cost., in quanto la clausola del servizio prestato è già in sé previsione arbitraria ed indebitamente restrittiva della platea dei candidati, senza che ciò garantisca meglio il buon andamento della P.A.; 2) – la nullità di detto art. 3, co. 1, lett. c) per violazione o elusione di precedenti giudicati amministrativi, nel caso in esame essendo stati reintrodotti criteri già censurati da questo Giudice in altri giudizi; 3) – la nullità discriminatoria dell’art. 3, co. 1, lett. c) del bando, di cui il MIUR avrebbe dovuto fornire invece un’interpretazione costituzionalmente orientata, cioè in coerenza con l’art. 399 e ss. del D.lgs. 297/1994 (per cui l’immissione in ruolo avviene mediante concorsi pubblici per titoli ed esami, senza limitazioni di sorta riguardo all’attività lavorativa dell’aspirante) e valutando il pregresso servizio prestato solo titolo aggiuntivo e non come requisito d’accesso al concorso de quo;

– l’adito TAR, con sentenza breve n. 8011 del 20 giugno 2019, ha dichiarato irricevibile il ricorso in questione, essendo stato notificato oltre il termine di decadenza, decorrente da un bando che, come quello in contestazione, recava clausole immediatamente escludenti;

– appellano quindi il sig. Abate e consorti, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneo giudizio d’irricevibilità —avendo i ricorrente impugnato il predetto bando entro il termine ex art. 31, co. 4, c.p.a.—, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, co. 1-quinquies del DL 87/2018 e l’illegittimità discriminatoria del concorso con riguardo al titolo di studio ed al servizio solo in scuole statali;

Considerato in diritto che:

– l’appello è manifestamente infondato, essendo jus receptum che ogni clausola d’ammissione a un concorso a pubblici impieghi, che rechi illegittimi vincoli o preclusioni immediatamente escludenti, onera il soggetto, che si ritenga così escluso, ad un altrettanto immediata impugnazione entro il noto termine decadenziale ex art. 41, co. 2, c.p.a.;

– per vero, nella specie la res controversa concerne la contestazione, da parte di chi non possiede né il titolo di studio prescritto, né per intero il requisito di servizio svolto solo in scuole statali, della ragionevolezza e della non discriminazione di siffatta clausola e del conseguente concorso riservato (per un bando pubblicato il 9 novembre 2018 ed impugnato innanzi al TAR solo il 5 maggio 2019), pur se tali cause d’illegittimità discendano o concorrano con l’illegittimità costituzionale dell’atto-fonte primario che disciplini l’indizione e la forma del concorso stesso;

– nondimeno il termine ex art. 41, co. 2 non può giammai esser eluso, nemmeno prospettando la questione controversa come un caso di nullità ex art. 21-septies della l. 7 agosto 1990 n. 241, perché il più lungo termine, all’uopo stabilito dall’art. 31, co. 4, c.p.a. per proporre un’azione di nullità, non può comunque violare la regola posta dal successivo art. 34, co. 2, II per., in virtù del quale il Giudice non può conoscere, anche se proposta in un giudizio di nullità introdotto col citato termine, della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione d’annullamento;

– in secondo luogo, l’art. 21-septies della l. 241/1990, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, tra le varie opzioni possibili —quella d’inserire nel sistema della patologia dell’atto amministrativo tutte le ipotesi di nullità (testuale, strutturale e virtuale) previste dall’art, 1418 c.c. e quella di ritenere sufficiente la categoria dell’annullabilità per quanto riguarda i rapporti amministrativi—, ha scelto una soluzione di compromesso, stabilendo che le cause di nullità costituiscano un numero chiuso non estensibile a fattispecie di nullità non previste dalla legge o virtuali (cfr., per tutti, Cons. St., V, 26 novembre 2008, n. 5845; id., IV, 30 marzo 2018 n. 2028);

– in tal caso, vige il principio, fermo in giurisprudenza (cfr., tra le più recenti, Cons. St., VI, 19 febbraio 2018 n. 1064; id., III, 2 maggio 2019 n. 2843; CGA, sez. giurisd., 26 settembre 2019 n. 836), secondo cui il vizio del provvedimento amministrativo, consistente nell’applicazione di una norma di legge incostituzionale, rientra nella categoria della violazione di legge ed è pertanto un ordinario vizio di legittimità (quindi, non rilevabile d’ufficio) e non un caso di nullità ex art. 21-septies della l. 241/1990 (che indica i casi tassativi di nullità del provvedimento amministrativo, non contemplando tra essi il caso del provvedimento basato su una norma incostituzionale);

– pertanto, di regola, siffatti provvedimenti si consolidano se non sono tempestivamente impugnati e ciò a più forte ragione nella specie, ove l’illegittimità costituzionale, non ancora accertata, è posta come vizio del procedimento di concorso in relazione ad una clausola d’ammissione, dal che la manifesta inammissibilità non solo della relativa questione sollevata in entrambi i gradi di giudizio, ma anche d’ogni altra questione di merito, essendosi appunto consolidate, in capo agli appellanti, le clausole ex art. 3, co. 1 del bando di detto concorso;

– l’appello va così respinto, senz’uopo d’ulteriore disamina di questioni di merito, ma giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 91/2020 in epigrafe), lo respinge

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 13 febbraio 2020, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere